mercoledì, maggio 09, 2007
PENSIONI: una giornata di ordinaria confusione.
Il segretario del Prc, Franco Giordano, ha sottolineato che per avere il via libera di Rifondazione alla riforma della previdenza «bisognerà ripartire dal programma sottoscritto e condiviso da tutti gli alleati dell'Unione, alla base del mandato elettorale»; ha parlato anche di «abbattere integralmente lo scalone introdotto dal governo delle destre» e «Non mettere mano ai coefficienti di trasformazione e garantire che qualsiasi aumento dell'età pensionabile si basi su forme di incentivo e sia del tutto facoltativo».
Grottesco che in soccorso di Padoa Schioppa siano scesi in campo esponenti della destra. Il leghista Roberto Calderoli, «Padoa-Schioppa fa bene a tenere duro, la riforma Maroni serviva a garantire la pensione ai giovani», o Altero Matteoli (An), «Oggi abbiamo assistito all'assalto della sinistra radicale al ministro dell'Economia che viene bocciato, sconfessato sulle pensioni e sul tesoretto e considerato come un intruso nel governo». Plauso da Maurizio Beretta (direttore Confindustria) «non ritiene utile mettere mano alle norme in vigore se questo significa pesare sulla finanza pubblica con maggiori risorse».
Paolo Ferrero, ministro della Solidarietá sociale che proprio mercoledì mattina è tornato a chiedere l'abrogazione delle legge Biagi, ha bocciato l'impostazione scelta all'apertura del confronto coi sindacati «l'abolizione dello scalone era nel programma con cui ci siamo presentati agli elettori. Abbiamo fatto quella promessa anche se sapevamo che era un costo e adesso dobbiamo mettere le risorse necessarie per questa abolizione, non è una richiesta di Rifondazione, è il programma dell'Unione».
MA COSA DICE IL FAMOSO PROGRAMMA DELL’UNIONE?
Per il bene dell’Italia. Programma di Governo 2006-2011
Una previdenza sicura e sostenibile
Dalla proiezione fino al 2050, utilizzata come riferimento per
gli ultimi provvedimenti adottati e nelle procedure di confronto
con gli altri paesi europei, si vede che l'incidenza della
spesa pensionistica italiana sul PIL, inizialmente una delle
più elevate in Europa, risulta tra le più stabili nel tempo, con
una crescita inferiore ai due punti percentuali nella fase
intermedia, quando subito dopo il 2030 si dovrebbe arrivare al
valore più alto, e una successiva contrazione che riporta l'incidenza
della spesa ad un livello leggermente inferiore a quello
attuale. Nello stesso periodo, il rapporto tra spesa per pensioni
e PIL nell’insieme dei paesi europei registra una crescita di
circa tre punti percentuali, con notevoli differenze nel profilo
temporale e nella dimensione delle variazioni per ogni Paese.
La stabilizzazione della spesa pensionistica italiana nell’arco
dei prossimi cinquant’anni, che riavvicina di molto il nostro
paese alla media europea, è determinata dal concorrere di vari
fattori. In particolare, a contrastare il tendenziale effetto
espansivo sulla spesa dovuto all'aumento del tasso di dipendenza
demografica, ci sono in ordine di importanza la restrizione
dei criteri di accesso al pensionamento, l'aumento del tasso di
occupazione ma, soprattutto, la discesa dei "tassi di sostituzione",
cioè del rapporto tra pensione e ultima retribuzione, nelle fasce di età che precedono i 65 anni.
Come indicano dunque le proiezioni, il sistema previdenziale
italiano, con il passaggio al regime contributivo, offre nel
lungo periodo garanzie di sostenibilità finanziaria più solide
rispetto ai sistemi pensionistici di quasi tutti gli altri paesi
europei. Tuttavia, dalle stesse proiezioni emerge un problema
serio, che riguarda l'ammontare futuro dei trattamenti pensionistici rispetto ai redditi da lavoro.
Da ciò discende la necessità di intervenire a favore delle parti
più fragili del sistema, che sono individuabili soprattutto
nelle lavoratrici e nei lavoratori con carriere discontinue e
meno retribuite, oltre che nei pensionati che sopravvivono più a
lungo dopo il pensionamento.
Il governo di centrodestra, pur basandosi su documenti che delineano
il quadro appena esposto, si è mosso solo in direzione
della “sostenibilità finanziaria” del sistema pensionistico,
con misure inique che peggiorano la ”adattabilità” del sistema
stesso, e ha tralasciato ogni azione diretta a rendere in prospettiva
più adeguati i trattamenti.
L’innalzamento rigido dell’età di pensione, che il governo ha
applicato anche al regime contributivo, produce effetti pressoché
nulli sulla sostenibilità finanziaria di lungo periodo,
poiché con questo metodo di calcolo l'onerosità di una pensione
è sostanzialmente identica per ogni età di ritiro nell'intervallo
previsto.
Ancora più importante è il fatto che la flessibilità del sistema
contributivo introdotta dalla riforma "Dini" aiutava anche a
risolvere il problema dei lavoratori in difficoltà a mantenere
un posto fisso di lavoro oltre certe soglie di età. Con la
situazione che si viene a creare, senza adeguati interventi per
favorire la prosecuzione della carriera, molte persone ultracinquantenni rischiano, quando sono estromesse dall'attività
lavorativa, di non avere più un salario e di non avere ancora
diritto alla pensione.
Inoltre, va ricordato che con le precedenti riforme era già
stata raggiunta un mediazione basata sugli anni di anzianità o
sulla combinazione tra anzianità contributiva e soglia di età
che, vista la proiezione di medio termine dei conti della previdenza
non richiede interventi strutturali. L'aumento "a scatto"
dell'età richiesta è anche una misura poco coerente con l’obiettivo
di controllare la spesa, in quanto, da un lato non si spiega
perché fino al 2008 non ci sia necessità di risparmio, mentre
dopo il 2008 questa esigenza assuma una tale urgenza da richiedere il blocco delle uscite di anzianità per tre/cinque anni,
con la possibilità che un’accelerazione delle uscite negli anni
che precedono l’entrata in vigore renda meno efficace e più iniquo il gradino temporale. Inoltre questa misura determinerebbe
un consistente ostacolo all’ingresso al lavoro per le giovani
generazioni, aggravando ulteriormente la situazione attuale sul
versante del mercato del lavoro.
Anche l'altra misura molto sbandierata dal governo di centrodestra,
cioè l’incentivo per il posticipo del pensionamento (il
cosiddetto "bonus"), si presta a diverse critiche. In particolare,
se calcolato correttamente, il bonus non presenta effettivi
vantaggi se non per chi ha retribuzioni più elevate e che,
con più probabilità, avrebbe comunque continuato a lavorare.
Ciò è confermato dai dati che registrano basse quote di beneficiari
tra le qualifiche inferiori, le donne e le regioni del
mezzogiorno, con in aggiunta un incidenza della misura sui conti
pubblici del tutto modesta.
Nel complesso, a differenza dell’indirizzo perseguito dall’attuale
governo, i maggiori oneri connessi al periodo di transizione
al nuovo regime pensionistico, la cosiddetta "gobba", non
costituiscono un problema particolare, anche tenendo presente
che in una economia in crescita, anche allargandosi la quota di
risorse da indirizzare alle pensioni, il reddito reale procapite
delle persone attive può comunque aumentare.
Sulla base di ciò, noi crediamo necessario intervenire con
misure migliorative e di razionalizzazione dell'esistente.
In particolare puntiamo a:
- ribadire la necessità di attenersi alle linee fondamentali
previste dalla riforma "Dini" che senza altre continue
ipotesi di riforma del sistema pensionistico che minano
la sicurezza sul futuro dei lavoratori - rappresentano
già la principale garanzia di sostenibilità finanziaria
del sistema;
- eliminare l’inaccettabile “gradino” e la riduzione del
numero delle finestre che innalzano bruscamente e in modo
del tutto iniquo l’età pensionabile, come prevede per il
2008 la legge approvata dalla maggioranza di centrodestra;
- affrontare il fenomeno dell'evasione contributiva con
opportuni strumenti di controllo e accertamento, compreso
un aumento di organico degli ispettori del lavoro del
Ministero e degli enti, dai quali verrebbe anche un consistente
aiuto per la lotta al sommerso;
- per compensare la tendenza al ribasso dei trattamenti
pensionistici, intervenire sull’adeguamento delle pensioni
al costo della vita e approntare misure efficaci che
accompagnino verso un graduale e volontario innalzamento
dell'età media di pensionamento.
Con la tendenza all’aumento della vita media e all'interno
di una modifica complessiva del rapporto tra tempo di vita e
tempo di lavoro, l’allungamento graduale della carriera
lavorativa, tenendo conto del diverso grado di usura provocato
dal lavoro, dovrebbe diventare un fatto fisiologico.
Il processo va incentivato in modo efficace, con misure
incisive, che non mettano a rischio l’adeguatezza della
pensione. In particolare, occorre fare leva su meccanismi
di contribuzione figurativa, a cui abbinare incentivi per
le imprese che mantengano nel posto di lavoro le persone
sopra i cinquant’anni.
Grottesco che in soccorso di Padoa Schioppa siano scesi in campo esponenti della destra. Il leghista Roberto Calderoli, «Padoa-Schioppa fa bene a tenere duro, la riforma Maroni serviva a garantire la pensione ai giovani», o Altero Matteoli (An), «Oggi abbiamo assistito all'assalto della sinistra radicale al ministro dell'Economia che viene bocciato, sconfessato sulle pensioni e sul tesoretto e considerato come un intruso nel governo». Plauso da Maurizio Beretta (direttore Confindustria) «non ritiene utile mettere mano alle norme in vigore se questo significa pesare sulla finanza pubblica con maggiori risorse».
Paolo Ferrero, ministro della Solidarietá sociale che proprio mercoledì mattina è tornato a chiedere l'abrogazione delle legge Biagi, ha bocciato l'impostazione scelta all'apertura del confronto coi sindacati «l'abolizione dello scalone era nel programma con cui ci siamo presentati agli elettori. Abbiamo fatto quella promessa anche se sapevamo che era un costo e adesso dobbiamo mettere le risorse necessarie per questa abolizione, non è una richiesta di Rifondazione, è il programma dell'Unione».
MA COSA DICE IL FAMOSO PROGRAMMA DELL’UNIONE?
Per il bene dell’Italia. Programma di Governo 2006-2011
Una previdenza sicura e sostenibile
Dalla proiezione fino al 2050, utilizzata come riferimento per
gli ultimi provvedimenti adottati e nelle procedure di confronto
con gli altri paesi europei, si vede che l'incidenza della
spesa pensionistica italiana sul PIL, inizialmente una delle
più elevate in Europa, risulta tra le più stabili nel tempo, con
una crescita inferiore ai due punti percentuali nella fase
intermedia, quando subito dopo il 2030 si dovrebbe arrivare al
valore più alto, e una successiva contrazione che riporta l'incidenza
della spesa ad un livello leggermente inferiore a quello
attuale. Nello stesso periodo, il rapporto tra spesa per pensioni
e PIL nell’insieme dei paesi europei registra una crescita di
circa tre punti percentuali, con notevoli differenze nel profilo
temporale e nella dimensione delle variazioni per ogni Paese.
La stabilizzazione della spesa pensionistica italiana nell’arco
dei prossimi cinquant’anni, che riavvicina di molto il nostro
paese alla media europea, è determinata dal concorrere di vari
fattori. In particolare, a contrastare il tendenziale effetto
espansivo sulla spesa dovuto all'aumento del tasso di dipendenza
demografica, ci sono in ordine di importanza la restrizione
dei criteri di accesso al pensionamento, l'aumento del tasso di
occupazione ma, soprattutto, la discesa dei "tassi di sostituzione",
cioè del rapporto tra pensione e ultima retribuzione, nelle fasce di età che precedono i 65 anni.
Come indicano dunque le proiezioni, il sistema previdenziale
italiano, con il passaggio al regime contributivo, offre nel
lungo periodo garanzie di sostenibilità finanziaria più solide
rispetto ai sistemi pensionistici di quasi tutti gli altri paesi
europei. Tuttavia, dalle stesse proiezioni emerge un problema
serio, che riguarda l'ammontare futuro dei trattamenti pensionistici rispetto ai redditi da lavoro.
Da ciò discende la necessità di intervenire a favore delle parti
più fragili del sistema, che sono individuabili soprattutto
nelle lavoratrici e nei lavoratori con carriere discontinue e
meno retribuite, oltre che nei pensionati che sopravvivono più a
lungo dopo il pensionamento.
Il governo di centrodestra, pur basandosi su documenti che delineano
il quadro appena esposto, si è mosso solo in direzione
della “sostenibilità finanziaria” del sistema pensionistico,
con misure inique che peggiorano la ”adattabilità” del sistema
stesso, e ha tralasciato ogni azione diretta a rendere in prospettiva
più adeguati i trattamenti.
L’innalzamento rigido dell’età di pensione, che il governo ha
applicato anche al regime contributivo, produce effetti pressoché
nulli sulla sostenibilità finanziaria di lungo periodo,
poiché con questo metodo di calcolo l'onerosità di una pensione
è sostanzialmente identica per ogni età di ritiro nell'intervallo
previsto.
Ancora più importante è il fatto che la flessibilità del sistema
contributivo introdotta dalla riforma "Dini" aiutava anche a
risolvere il problema dei lavoratori in difficoltà a mantenere
un posto fisso di lavoro oltre certe soglie di età. Con la
situazione che si viene a creare, senza adeguati interventi per
favorire la prosecuzione della carriera, molte persone ultracinquantenni rischiano, quando sono estromesse dall'attività
lavorativa, di non avere più un salario e di non avere ancora
diritto alla pensione.
Inoltre, va ricordato che con le precedenti riforme era già
stata raggiunta un mediazione basata sugli anni di anzianità o
sulla combinazione tra anzianità contributiva e soglia di età
che, vista la proiezione di medio termine dei conti della previdenza
non richiede interventi strutturali. L'aumento "a scatto"
dell'età richiesta è anche una misura poco coerente con l’obiettivo
di controllare la spesa, in quanto, da un lato non si spiega
perché fino al 2008 non ci sia necessità di risparmio, mentre
dopo il 2008 questa esigenza assuma una tale urgenza da richiedere il blocco delle uscite di anzianità per tre/cinque anni,
con la possibilità che un’accelerazione delle uscite negli anni
che precedono l’entrata in vigore renda meno efficace e più iniquo il gradino temporale. Inoltre questa misura determinerebbe
un consistente ostacolo all’ingresso al lavoro per le giovani
generazioni, aggravando ulteriormente la situazione attuale sul
versante del mercato del lavoro.
Anche l'altra misura molto sbandierata dal governo di centrodestra,
cioè l’incentivo per il posticipo del pensionamento (il
cosiddetto "bonus"), si presta a diverse critiche. In particolare,
se calcolato correttamente, il bonus non presenta effettivi
vantaggi se non per chi ha retribuzioni più elevate e che,
con più probabilità, avrebbe comunque continuato a lavorare.
Ciò è confermato dai dati che registrano basse quote di beneficiari
tra le qualifiche inferiori, le donne e le regioni del
mezzogiorno, con in aggiunta un incidenza della misura sui conti
pubblici del tutto modesta.
Nel complesso, a differenza dell’indirizzo perseguito dall’attuale
governo, i maggiori oneri connessi al periodo di transizione
al nuovo regime pensionistico, la cosiddetta "gobba", non
costituiscono un problema particolare, anche tenendo presente
che in una economia in crescita, anche allargandosi la quota di
risorse da indirizzare alle pensioni, il reddito reale procapite
delle persone attive può comunque aumentare.
Sulla base di ciò, noi crediamo necessario intervenire con
misure migliorative e di razionalizzazione dell'esistente.
In particolare puntiamo a:
- ribadire la necessità di attenersi alle linee fondamentali
previste dalla riforma "Dini" che senza altre continue
ipotesi di riforma del sistema pensionistico che minano
la sicurezza sul futuro dei lavoratori - rappresentano
già la principale garanzia di sostenibilità finanziaria
del sistema;
- eliminare l’inaccettabile “gradino” e la riduzione del
numero delle finestre che innalzano bruscamente e in modo
del tutto iniquo l’età pensionabile, come prevede per il
2008 la legge approvata dalla maggioranza di centrodestra;
- affrontare il fenomeno dell'evasione contributiva con
opportuni strumenti di controllo e accertamento, compreso
un aumento di organico degli ispettori del lavoro del
Ministero e degli enti, dai quali verrebbe anche un consistente
aiuto per la lotta al sommerso;
- per compensare la tendenza al ribasso dei trattamenti
pensionistici, intervenire sull’adeguamento delle pensioni
al costo della vita e approntare misure efficaci che
accompagnino verso un graduale e volontario innalzamento
dell'età media di pensionamento.
Con la tendenza all’aumento della vita media e all'interno
di una modifica complessiva del rapporto tra tempo di vita e
tempo di lavoro, l’allungamento graduale della carriera
lavorativa, tenendo conto del diverso grado di usura provocato
dal lavoro, dovrebbe diventare un fatto fisiologico.
Il processo va incentivato in modo efficace, con misure
incisive, che non mettano a rischio l’adeguatezza della
pensione. In particolare, occorre fare leva su meccanismi
di contribuzione figurativa, a cui abbinare incentivi per
le imprese che mantengano nel posto di lavoro le persone
sopra i cinquant’anni.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento