domenica, maggio 11, 2008
Per l'indipendenza del sindacato dal quadro politico
Intervista a Giorgio Cremaschi di Fabio Sebastiani
Entriamo nel merito, alla fine il contratto nazionale anche se non viene cancellato viene parecchio ridimensionato.
Il documento parte dall'idea, profondamente sbagliata, che i guai ai salari dei lavoratori in questi anni siano venuti perché c'era troppo contratto nazionale. La verità è che ce ne è stato troppo poco, perché il contratto nazionale doveva subire la gabbia della concertazione. Invece che liberare il contratto nazionale dalla concertazione si vuole liberare la concertazione dal contratto nazionale. Nell'Italia delle piccole aziende, del lavoro frantumato e precario, ridurrne il peso significa rompere la solidarietà tra i lavoratori a favore di un'aziendalismo che premierà solo una minoranza.
Aziendalista?
A parole tutti sostengono ora che l'intesa difende il contratto nazionale. Però scopriremo, un minuto dopo che si aprirà il tavolo, che non è così. La Logica di questo documento è la stessa che ha portato all'abolizione della scala mobile; che allora diceva "bisogna ridurre il peso dela scala mobile per avere più contrattazione". Oggi si dice, l'accrescimento del salario avviene solo sul cosiddetto salario per obiettivi. Per capirci, il contratto nazionale non può far crescere i salari. Di più, la premessa ideologica del documento dice che il miglioramento delle condizioni di reddito dei lavoratori si fa attraverso la crescita della qualità e della competitività delle imprese. Quindi, per essere chiari si accetta la politica dei due tempi, prima la produttività e poi i salari. Si accetta lo slogan bipartisan, sostenuto in campagna elettorale sia da Berlusconi sia dal Pd, per cui per distribuire la ricchezza bisogna produrla. In nessun punto del documento si dice o si parla di redistribuzione della ricchezza. Si dice che la contrattazione nazionale dà un minimo e il resto uno se lo deve guadagnare in azienda. Anche la contrattazione territoriale che viene esaltata come stumento per estendere il secondo ilviello di contrattazione a chi non ce l'ha viene stravolta in questa logica e diventa il cavallo ruffiano delle gabbie salaiali. Infatti, in questa logica essa può essere conquistata solo se assorbe da un lato spazio al contratto nazioanale e dall'altro diritti e poteri alla contrattazione aziendale.
La Cgil obietta che almeno ha ottenuto regole democratiche certe.
Penso invece che si vada verso un modello centralizzato e burocratico delle relazioni sindacali e privo di reale democrazia. Perché i contratti nazionali verranno in realtà decisi dalle confederazioni che stabiliranno con le controparti, in quello che negli anni '60 la Cisl chiamava accordo quadro, quale è l'inflazione a cui riferirsi. Il contratto nazionale viene così svuotato, in alto dagli accordi centralizzati a livello confederale e in basso non dalla contrattazione aziendale ma dal salario legato alla produttività e al merito. Chiamo questo il ritorno a una forma di cottimo. Cioè ad un salario che discrimina un lavoratore dall'altro. Infine, voglio sottolineare che il tanto esaltato accordo sulla democrazia è regressivo, rispetto almeno alla cultura della Cgil. Perché si cancella anche l'ipotesi che i lavoratori votino sulle piattaforme; perché la consultazione certificata, che non è il referendum, si fa solo sugli accordi, senza forma di partecipazione al negoziato. E poi perché vengono mantenuti tutti gli inaccettabili privilegi del sindacalismo confederale a partire dalle quote riservate per le Rsu. Il modello è quello che ha portato alla ratifica del luglio 2007.
C'è un filo rosso che lega il clima bipartisan sul lavoro e l'azione che il Pd sta esercitando sulla Cgil?
Il documento è negativo, ma la trattiva che si preapara lo è ancora di più perché nasce su una campagna bipartisan a favore della flessibilità del salario e dei diritti e prefigura un accordo che è solo a perdere. Per dirla in sintesi invece che correggere i danni del '93 si preapara un accordo che li aumenta, con più concertazione e più flessibilità del salario. La Cgil subisce tutta questa impostazione perché è guidata dalla paura dell'isolamento. In questo la situazione è davvero opposta al 2002. Oggi la Cgil firmerebbe il Patto per l'italia e temo che firmi anche un accordo peggiore di quello. Il risultato elettorale è invece il motivo per cui oggi la Cgil dice sono costretta a sedermi con Sacconi e la Marceglia e devo prepararmi ad accettare quello che passa il convento. E' questa paura ciò che produce intolleranza verso la diversità dei comportamenti e il bisogno di normalizzazione. Ma anche per questo dico, questa paura va contrastata. Occorre impedire l'omologazione del sindacato e in particolare della Cgil al quadro politico. Bisogna respingere i tentativi egemonici sulla Cgil da parte del Partito democratico senza riproporre alcun collateralismo politico, neanche con la crisi della sinstra radicale. Il nodo è sindacale, ovvero l'indipendenza del sindacato. Oggi la Cgil paga la mancata autonomia da Prodi. E rischia di farlo nella maniera peggiore di fonte all'attacco della Confidunstria e di Berlusconi. Per questo io vedo la battaglia che si apre prima di tutto come una grande battaglia di autonomia e indipendenza. Come diceva Di Vittorio, dai padroni, dai governi e dai partiti.
su Liberazione del 09/05/2008
Entriamo nel merito, alla fine il contratto nazionale anche se non viene cancellato viene parecchio ridimensionato.
Il documento parte dall'idea, profondamente sbagliata, che i guai ai salari dei lavoratori in questi anni siano venuti perché c'era troppo contratto nazionale. La verità è che ce ne è stato troppo poco, perché il contratto nazionale doveva subire la gabbia della concertazione. Invece che liberare il contratto nazionale dalla concertazione si vuole liberare la concertazione dal contratto nazionale. Nell'Italia delle piccole aziende, del lavoro frantumato e precario, ridurrne il peso significa rompere la solidarietà tra i lavoratori a favore di un'aziendalismo che premierà solo una minoranza.
Aziendalista?
A parole tutti sostengono ora che l'intesa difende il contratto nazionale. Però scopriremo, un minuto dopo che si aprirà il tavolo, che non è così. La Logica di questo documento è la stessa che ha portato all'abolizione della scala mobile; che allora diceva "bisogna ridurre il peso dela scala mobile per avere più contrattazione". Oggi si dice, l'accrescimento del salario avviene solo sul cosiddetto salario per obiettivi. Per capirci, il contratto nazionale non può far crescere i salari. Di più, la premessa ideologica del documento dice che il miglioramento delle condizioni di reddito dei lavoratori si fa attraverso la crescita della qualità e della competitività delle imprese. Quindi, per essere chiari si accetta la politica dei due tempi, prima la produttività e poi i salari. Si accetta lo slogan bipartisan, sostenuto in campagna elettorale sia da Berlusconi sia dal Pd, per cui per distribuire la ricchezza bisogna produrla. In nessun punto del documento si dice o si parla di redistribuzione della ricchezza. Si dice che la contrattazione nazionale dà un minimo e il resto uno se lo deve guadagnare in azienda. Anche la contrattazione territoriale che viene esaltata come stumento per estendere il secondo ilviello di contrattazione a chi non ce l'ha viene stravolta in questa logica e diventa il cavallo ruffiano delle gabbie salaiali. Infatti, in questa logica essa può essere conquistata solo se assorbe da un lato spazio al contratto nazioanale e dall'altro diritti e poteri alla contrattazione aziendale.
La Cgil obietta che almeno ha ottenuto regole democratiche certe.
Penso invece che si vada verso un modello centralizzato e burocratico delle relazioni sindacali e privo di reale democrazia. Perché i contratti nazionali verranno in realtà decisi dalle confederazioni che stabiliranno con le controparti, in quello che negli anni '60 la Cisl chiamava accordo quadro, quale è l'inflazione a cui riferirsi. Il contratto nazionale viene così svuotato, in alto dagli accordi centralizzati a livello confederale e in basso non dalla contrattazione aziendale ma dal salario legato alla produttività e al merito. Chiamo questo il ritorno a una forma di cottimo. Cioè ad un salario che discrimina un lavoratore dall'altro. Infine, voglio sottolineare che il tanto esaltato accordo sulla democrazia è regressivo, rispetto almeno alla cultura della Cgil. Perché si cancella anche l'ipotesi che i lavoratori votino sulle piattaforme; perché la consultazione certificata, che non è il referendum, si fa solo sugli accordi, senza forma di partecipazione al negoziato. E poi perché vengono mantenuti tutti gli inaccettabili privilegi del sindacalismo confederale a partire dalle quote riservate per le Rsu. Il modello è quello che ha portato alla ratifica del luglio 2007.
C'è un filo rosso che lega il clima bipartisan sul lavoro e l'azione che il Pd sta esercitando sulla Cgil?
Il documento è negativo, ma la trattiva che si preapara lo è ancora di più perché nasce su una campagna bipartisan a favore della flessibilità del salario e dei diritti e prefigura un accordo che è solo a perdere. Per dirla in sintesi invece che correggere i danni del '93 si preapara un accordo che li aumenta, con più concertazione e più flessibilità del salario. La Cgil subisce tutta questa impostazione perché è guidata dalla paura dell'isolamento. In questo la situazione è davvero opposta al 2002. Oggi la Cgil firmerebbe il Patto per l'italia e temo che firmi anche un accordo peggiore di quello. Il risultato elettorale è invece il motivo per cui oggi la Cgil dice sono costretta a sedermi con Sacconi e la Marceglia e devo prepararmi ad accettare quello che passa il convento. E' questa paura ciò che produce intolleranza verso la diversità dei comportamenti e il bisogno di normalizzazione. Ma anche per questo dico, questa paura va contrastata. Occorre impedire l'omologazione del sindacato e in particolare della Cgil al quadro politico. Bisogna respingere i tentativi egemonici sulla Cgil da parte del Partito democratico senza riproporre alcun collateralismo politico, neanche con la crisi della sinstra radicale. Il nodo è sindacale, ovvero l'indipendenza del sindacato. Oggi la Cgil paga la mancata autonomia da Prodi. E rischia di farlo nella maniera peggiore di fonte all'attacco della Confidunstria e di Berlusconi. Per questo io vedo la battaglia che si apre prima di tutto come una grande battaglia di autonomia e indipendenza. Come diceva Di Vittorio, dai padroni, dai governi e dai partiti.
su Liberazione del 09/05/2008
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento